Le differenze con il Lazio confermano che i focolai non sono in classe. La crescita esponenziale è incominciata a luglio-agosto
«Meglio non aprire le scuole prima di Natale: aumenteranno i contagi a causa delle feste e dello shopping, e ci sarà la scusa per dare la colpa alla scuola». La battuta, sentita tra chi fa ricerca sulle cifre della pandemia, rende bene l’idea di quanto in Italia il dibattito attorno al ruolo della scuola nella diffusione dei contagi risenta di una visione quantomeno parziale. È chiaro che anche a scuola, come in qualunque luogo, ci si possa contagiare, tuttavia una corposa documentazione scientifica dimostra che le lezioni in presenza, con le dovute accortezze, non sono un problema. Soprattutto se si fa un’analisi dei costi che comporta chiudere le scuole rispetto ai benefici sanitari che produce. Un interessante studio pubblicato su lavoce.info ha paragonato ad esempio l’andamento dell’epidemia in Campania, dove il 15 ottobre sono state chiuse tutte le scuole, con il Lazio, dove le lezioni sono proseguite regolarmente. La conclusione è che dopo tre settimane di lezioni sospese in Campania, dove la curva era salita molto più rapidamente che altrove, non c’è stata alcuna riduzione del gap con il Lazio, sia in termini di nuovi contagi che di rapporto tra ospedalizzazioni e posti letto. L’analisi conduce agli stessi risultati di una più ampia ricerca tedesca sull’effetto che la ripresa delle lezioni dopo la pausa estiva ha avuto sui nuovi casi di Covid. Uno degli argomenti che rende problematico il tema scuola riguarda i rischi di contagio sui mezzi di trasporto, fatto che interessa tuttavia molti altri ambiti e che può essere affrontato con politiche meno drastiche della sospensione delle lezioni. Nelle scorse settimane ha fatto discutere una ricerca su Lancet, che attribuiva alla scuola un ruolo lievemente maggiore nella diffusione dei contagi rispetto ad altri contesti. Tuttavia lo studio, basandosi su un parametro che può essere solo stimato ed è molto incerto, come l’Rt, va preso con molta cautela come ha scritto lo statistico Antonello Maruotti proprio su Avvenire. Ciò che sembra emergere è che la chiusura delle scuole porebbe portare a una riduzione complessiva dei contagi del 13-15%. Ma è difficile spiegare come e perché, senza studi specifici. Un articolo pubblicato su Nature è invece giunto alla conclusione che le scuole non sono hotspot della pandemia: su oltre 65.000 istituti che in Italia hanno riaperto a settembre, dopo 4 settimane si sono avuti focolai solo in 1.212 strutture, e nel 93% dei casi è stata segnalata una sola infezione. Risultati simili in Australia e Stati Uniti. In Gran Bretagna si è invece notato che gli adulti del personale scolastico sono stati quasi sempre i primi a risultare contagiati, mentre solo 2 epidemie su 30 riguardavano contagi da studente a studente. Il matematico Alberto Gandolfi, autore di uno studio sulla pianificazione dell’insegnamento durante la pandemia, ha chiarito che in un territorio molto colpito dal virus le scuole inevitabilmente finiscono per essere vittime di quanto avviene all’esterno. In questo senso, una recente ricerca diffusa da Nature ha rilevato, tracciando i movimenti di 98 milioni di americani attraverso i dati dei cellulari, che ristoranti, bar, caffè e palestre sono i luoghi in cui il rischio di contagio sembra essere molto più elevato. D’altra parte, l’analisi della curva dei contagi in Italia indica che l’aumento esponenziale è incominciato a luglio-agosto, procedendo all’inizio con numeri bassi, proprio come avviene raddoppiando i chicchi di riso sulla scacchiera, ed è poi esploso con la ripresa di tutte le attività. Una interessante tabella pubblicata sul Tempo, con dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss), mostra che il 25 agosto in Italia c’erano 9.544 under-19 contagiati, che sono diventati ben 102.419 il 7 novembre: un aumento più che doppio rispetto ad altre fasce di età. Dopo la chiusura di parte delle scuole secondarie e delle superiori, l’aumento dei contagi dei giovanissimi si è invece allineato a quello delle altre generazioni. Molte conclusioni si possono trarre. Ad esempio che i ragazzini si sono tutti contagiati tra loro in classe. Oppure (confermando gli studi dell’Iss secondo cui più dell’80% dei contagi avviene in famiglia), che oltre 230.000 adulti che hanno contratto il virus andando al lavoro, in palestra, al bar, al ristorante... hanno contagiato i minorenni che vivono con loro. E poi hanno incolpato la scuola.
fonte articolo: https://www.avvenire.it/